sabato 18 gennaio 2020

Colangiocarcinoma, con i farmaci a bersaglio si può fare

"Colangiocarcinoma, da tumore raro a patologia trattabile" è stato il tema della giornata andata in scena a Milano e che ha puntato i fari su una patologia rara, ma in rapida espansione anche tra i giovani. La giornata, organizzata con il contributo non condizionato di Incyte, ha richiamato l'attenzione su quelli che vengono chiamati tumori delle vie biliari, un gruppo di neoplasie del fegato che hanno origine dai dotti biliari. Sono circa 5mila gli italiani che ogni anno ricevono una diagnosi di colangiocarcinoma, e nel 60% dei casi la scoperta del tumore viene effettuata quando questo è già in fase avanzata.
“Negli ultimi anni stiamo osservando nella pratica clinica un incremento delle forme intraepatiche, pari a circa il 4% annuo, in alcuni paesi europei tra cui anche l’Italia2. – afferma Giovanni Brandi, Presidente Gruppo Italiano Colangiocarcinoma (GICO). – Si tratta di un aumento reale non legato a miglioramenti della diagnostica che comincia ad interessare perfino un target pazienti diverso rispetto al passato, ovvero giovani a partire dai 30 anni. Inoltre previsioni molto realistiche ci dicono che tra 15 anni le neoplasie intraepatiche costituiranno la causa di circa la metà delle morti primitive per il fegato, come gli epatocarcinomi2”.
Un aspetto importante per il trattamento di questi pazienti è l'individuazione di eventuali mutazioni genetiche, che sono alla base della proliferazione incontrollata delle cellule. In questi ultimi tempi si è comunque assistito a un vero e proprio cambiamento di paradigna nel trattamento delle persone affette da questa neoplasia: da un quadro molto limitato di regimi solo chemioterapici si è passati a realizzare farmaci a bersaglio che si sono dimostrati utili nella terapia del colangiocarcinoma localmente avanzato e metastatico, resistente alla chemioterapia.
“Oggi conosciamo le mutazioni geniche che guidano la crescita dei colangiocarcinomi. In particolare, circa la metà dei colangiocarcinomi intraepatici ha almeno una mutazione rilevante per la terapia in quanto costituiscono il target di farmaci a bersaglio molecolare – afferma Davide Melisi, Professore Associato di Oncologia, Università di Verona. – Le mutazioni che sono indispensabili, ormai da ricercare alla diagnosi, sono quelle del recettore del Fibroblast Growth Factor, detto anche FGFR-2 e le mutazioni di un gene che codifica per una proteina coinvolta nel metabolismo che si chiama IDH-1”.