venerdì 15 novembre 2019

Infezioni antibioticoresistenti, triste primato italiano

L'incipit del comunicato stampa
L'Italia si trova ai primi posti in Europa nella prevalenza di infezioni antibioticoresistenti, con una diffusione superiore alle medie per alcuni dei principali superbatteri.
Se ne è parlato presso il Grand Hotel Miramare di Santa Margherita Ligure durante una conferenza stampa andata in scena durante l'XI International Meeting on Antimicrobial Chemotherapy in Clinical Practice, cui hanno preso parte il professor Matteo Bassetti, nuovo presidente della SITA, e il dottor Pierluigi Viale.
I numeri sono durissimi: se in Europa ogni anno si stimano circa 670mila infezioni da germi multiresistenti, quasi un terzo dei casi (200mila) si registrano in Italia. Stesse percentuali per quanto riguarda i decessi, che sono circa 33mila in Europa e 10mila nel Belpaese. I dati più recenti dell’European Center for Disease Prevention and Control (ECDC) confermano la ‘leadership’ italiana nella diffusione di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi (CRE), vero esempio di super batterio killer.
"Le ragioni di quanto sta accadendo sono diverse – dichiara Bassetti, professore ordinario di Malattie infettive e Direttore della Clinica Malattie Infettive, Ospedale San Martino di Genova, Presidente della SITA – All'interno delle strutture d’assistenza vi sono persone malate, spesso anziane e fragili, facilmente aggredibili dalle infezioni. La seconda ragione è che negli ospedali italiani viene trattata con antibiotici una percentuale di pazienti superiore a quella di altri Paesi europei. Il terzo problema è relativo alla non totale attivazione delle misure necessarie per evitare queste infezioni, come ad esempio l'uso appropriato dei guanti che servono a proteggere il paziente. Tutto questo rende urgente e necessarie iniziative di sensibilizzazione rivolte soprattutto ai cittadini: bisogna partire dalle scuole per insegnare a usare correttamente questi farmaci e spiegare il valore delle buone regole dell'igiene".

giovedì 14 novembre 2019

La cardiochirurgia robotica protagonista all'Humanitas Gavazzeni

L'équipe di cardiochirurgia robotica del dottor Agnino
L'ingegneria robotica per una chirurgia di precisione. Se ne è parlato a Milano, a Palazzo Giureconsulti, protagonista l'Humanitas Gavazzeni di Bergamo, dove i cardiochirurghi operano il cuore con il Sistema da Vinci X. Obiettivo, effettuare interventi più precisi ed efficaci ma anche più 'soft', perché l’estrema accuratezza della mano robotica consente di ridurre al minimo il trauma dei tessuti e quindi il sanguinamento e il tempo di recupero dei pazienti, rendendo inoltre quasi invisibili le cicatrici sul torace.
Grazie al robot, i cardiochirurghi possono applicare una tecnica all'avanguardia al trattamento dell’insufficienza mitralica, con tutti i vantaggi per il paziente dati dalla mininvasività robotica: riduzione del trauma, minore sanguinamento, rapido ritorno a una vita normale senza necessità di riabilitazione.
Protagonista di questa nuova fase è l'équipe del dottor Alfonso Agnino, cardiochirurgo specializzato da oltre 10 anni nell'uso di tecniche mininvasive video-assistite, che sono il terreno di formazione per chi decide di affrontare la robotica. "La Cardiochirurgia robotica – spiega il dottor Agnino, responsabile della Cardiochirurgia robotica e mininvasiva di Humanitas Gavazzeni – è un’opzione ancora poco diffusa in Italia, ma una realtà già consolidata in Stati Uniti, Cina, Francia, Germania ed Europa del Nord. È manifestazione della medicina del futuro, in cui la macchina potenzia le capacità dell'équipe per realizzare quello che fino a ieri sembrava impossibile, come riparare una valvola di pochi millimetri eseguendo incisioni non più grandi di quelle con cui i dermatologi rimuovono i nei. Questo a fronte dell’acquisizione di capacità tecniche che implementano il percorso formativo di tutto lo staff della sala operatoria".
Fondamentale per l’utilizzo del robot in Cardiochirurgia, infatti, è la preparazione dell’intera squadra di professionisti della sala operatoria, che comprende non solo il cardiochirurgo, ma anche anestesisti, perfusionisti, infermieri e operatori socio sanitari.
Con il robot da Vinci la storia della Cardiologia bergamasca di Humanitas Gavazzeni prosegue nel segno dell’eccellenza e dell’innovazione. Il robot da Vinci X è l'ultima versione della piattaforma per la chirurgia mininvasiva, usata perlopiù in Urologia, Ginecologia e Chirurgia Generale. La consolle, con sistema di visione tridimensionale HD, consente di osservare il campo operatorio in modalità 'full immersion' o di passare a una modalità a più immagini per integrare informazioni prese da altre fonti (Ecografo, ECG), favorendo il lavoro del chirurgo. Il dimensionamento in scala dei movimenti e la riduzione del tremore forniscono un ulteriore controllo che minimizza l'impatto di movimenti involontari.

Asma grave, Pronto Soccorso ancora senza un protocollo comune

Un momento della conferenza stampa di Milano
Una ricerca svolta da IHPB-ALTIS ha messo in evidenza come la presa in carico del paziente affetto da asma grave nelle strutture di pronto soccorso italiane sia ancora troppo poco uniforme. Ne emerge l'assenza di un protocollo comune e una scarsa presenza negli ospedali, appena il 29%, di un team multidisciplinare che possa eseguire un setting completo della persona ricoverata.
Nel confronto fra strutture con o senza un protocollo interno per la gestione dell'asma grave, le realtà che ne sono provviste sviluppano un minor numero di riacutizzazioni e una maggiore percentuale di pazienti a cui viene prescritto un piano di follow up dettagliato in dimissione.
L'asma grave è una patologia fortemente invalidante che rimane spesso a lungo priva di un corretto inquadramento diagnostico. La European Respiratory Society (ERS) la descrive come un tipo di Asma che richiede un alto livello di trattamento per evitare che vada fuori controllo o come un tipo di Asma fuori controllo nonostante l'alto livello di trattamento. In Italia l'incidenza dell'Asma è pari al 4,5% della popolazione, ossia circa 2,8 milioni di persone; l'asma grave invece riguarda circa il 5-10% della popolazione complessiva di asmatici (fonte: Associazione Allergologi e Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri-AAIITO).
La ricerca, presentata a Milano e realizzata con 71 medici di Pronto Soccorso di tutto il territorio nazionale (24 in ospedali con PS semplice; 27 interviste con DEA di 1° Livello; 20 interviste con DEA di secondo livello) ha fatto emergere una grande variabilità nei modelli di gestione del paziente con asma grave: meno della metà dei PS (48%) ha definito un protocollo interno per la gestione del paziente con asma grave, solo il 38% ha definito un protocollo per il follow up e meno di un terzo degli ospedali (29%) ha un team multidisciplinare per il setting completo del paziente. Nel confronto fra PS con protocollo per la gestione dell’asma grave (48% dei PS) e PS senza protocollo (62% dei presi in esame), emergono differenze significative negli outcome e nei modelli di gestione del paziente, a favore delle strutture con protocollo.
Le differenze riguardano: il minor numero di riacutizzazioni e accessi al PS (2,48/2,72 vs 3,04/3,11); la maggiore percentuale di pazienti a cui viene prescritto un piano di follow up dettagliato in dimissione (61% vs 36%); la maggior percentuale di pazienti a cui viene impostato un trattamento in dimissione (83% vs. 77%); il minor utilizzo di corticosteroidi per via orale (OCS) nei trattamenti impostati in dimissione (39% vs 58%).
La ricerca IHPB-ALTIS ha quindi identificato alcuni “critical issues nella gestione del paziente con Asma Grave nei PS italiani” che possono essere così sintetizzati:
1 - carenza di percorsi strutturati per la gestione del paziente con Asma severo in PS (presenti nel 48% delle strutture) e nel follow up (38% delle strutture);
2 - carenza di team multidisciplinari (29% delle strutture);
3 - carenza di una rete territorio-ospedale per la gestione specialistica del paziente con Asma Grave sul territorio (52% dei pazienti dimessi dal PS senza un piano di follow up, 26% dei pazienti inviati solo al MMG senza una presa in carico specialistica).

Tre video per contrastare l'epatite-C

Il logo della campagna "Insieme si vince" di Gilead
Una campagna video per raccontare la lotta all'epatite-C con un tocco di originalità e umorismo: si tratta di "Insieme si vince", giornata nell'ambito della quale sono stati premiati i tre vincitori del contest "Giovani video-maker per una nuova visione. Insieme l’eliminazione è possibile", iniziativa, promossa da Gilead in collaborazione, fra gli altri, con la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, e Userfarm, la più grande community di video-maker al mondo. Obiettivo della Campagna quello di sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione dell’epatite C e sull’importanza del test per l’HCV.
Il concorso, che ha visto la partecipazione di oltre 20 videomaker da cinque paesi del mondo (Russia, Olanda, Italia, Gran Bretagna e Francia). La giornata, moderata da La Pina, conduttrice radiofonica di Radio Deejay, ha visto vincitore ilvideo “Breaking not so Bad” di Valerio Fea, seguito in un podio ideale da “Il Primo passo” di Timothy Emanuele Costa e da “ll coach” di Mirko Bonanno.
Secondo alcune stime sono circa 200mila le persone con HCV in Italia, in particolare over 65, ancora da trattare, a cui vanno sommati almeno altri 70mila casi addirittura inconsapevoli di avere contratto un virus che può rimanere asintomatico per molti anni prima di manifestarsi.
"C’è un sommerso enorme - afferma Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della SIMIT, - e nonostante questo non sono state prese fino ad oggi iniziative significative per farlo emergere. Ci troviamo così in una situazione paradossale: quella di avere una terapia che funziona e di non fare nulla affinché le persone che ne possono beneficiare siano messe nella condizione di saperlo. Le persone più a rischio sono gli over 65, perché hanno maggiori probabilità di aver contratto l’infezione, ad esempio coloro che si sono sottoposti in passato a interventi chirurgici, trasfusioni o trapianti, oppure chi ha fatto uso di droghe per via endovenosa e anche chi ha tatuaggi e piercing eseguiti in condizioni non sicure".